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Siamo certi che tutti si chiedono perché delle piante anche per certi versi graziose hanno deciso di diventare carnivore abbandonando il “normale” regno vegetale e la pacifica convivenza che lo contraddistingue; è una domanda normalissima, a cui già scienziati illustrissimi come Charles Darwin hanno provato a dare risposta intorno alla metà del diciannovesimo secolo (in particolare Darwin ne scrisse il primo trattato a riguardo, provando anche una classificazione). Il primo che però le chiamò “carnivore” venne solo nel 1942 e si chiamava Lloyd; questo scienziato operò moltissimi studi su queste piante e ne trasformò la vecchia denominazione di “insettivore” in “carnivore” perché noto che esse non si cibavano soltanto di insetti (il classico esempio della mosca) ma anche di artropodi e di altri piccoli animali sfortunati. Dai tanti studi che si sono condotti sulle piante carnivore è emerso come esse siano nate e cresciute in zone in cui l’habitat ed il suolo in particolare erano e sono avari di quei nutrienti fondamentali al normale sviluppo di una pianta; non a caso, in natura le piante carnivore si ritrovano nei pressi di torbiere, paludi e rocce affioranti, ovvero paesaggi desolati e popolati da pochissima vita. Un elemento che in particolar modo manca a questi suoli è l’azoto, un componente talmente fondamentale della dieta del mondo vegetale da essere uno dei maggiori costituenti dei nostri concimi artificiali. Ma come potevano fare le piante a procurarsi l’azoto? Ebbene, bisogna sapere che l’azoto di può facilmente ricavare dalle proteine, e in natura le proteine sono diffusissime negli insetti, che ne sono davvero ricchi. Da qui è stato semplice seguire la strada di un adattamento che ha visto la trasformazione graduale ma inesorabile di foglie e fiori in trappole più o meno geniali e più o meno efficaci che sono utili per catturare gli insetti. Le soluzioni che le varie specie di piante carnivore hanno trovato per creare queste trappole sono delle più diverse, ma in particolar modo possiamo notare che tutte le specie concentrano le loro energie e forze vitali nello sviluppo e nel mantenimento di questi organi da caccia e di quegli organi che hanno poi il compito di digerire ed estrapolare dalle prede l’azoto e tutti gli altri componenti necessari; per questo motivo una caratteristica delle piante carnivore è la ridotta estensione delle radici, che hanno più il compito di sostenere fisicamente la pianta che quello di alimentarla, anche perché abbiamo già detto che uno dei motivi che ha indotto lo sviluppo delle piante carnivore è proprio quello dei terreni poveri di sostanza nutritive, per cui grandi radici non avrebbero potuto comunque fornire molta materia alla pianta stessa. Diciamo che le piante carnivore sono per la maggior parte piante perenni, anche se esistono alcune specie a vita annuale o stagionale (più rare). Proprio per il loro particolare sviluppo, le piante carnivore sono deboli nei confronti delle piante normali; vogliamo venire a dire che esse, se dovesse presentarsi un ambiente trasformato e normalizzato rispetto a quello in cui proliferano e che abbiamo prima descritto, non riescono a sopravvivere e rapidamente spariscono per lasciare spazio alla crescita delle piante più convenzionali.
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I lettori converranno che la parte più interessante da sapere, studiare ed apprezzare delle piante carnivore è proprio la modalità con cui riescono a catturare le lor prede. Gli scienziati hanno a lungo dibattuto sulle possibili classificazioni di queste piante, giungendo infine ad un siffatto elenco: trappole ad ascidio, trappole adesive, trappole a scatto o a tagliola, trappole ad aspirazione, trappole a nassa. Vediamo ora quali sono le principali caratteristiche e gli esempi migliori per ogni raggruppamento.
La trappola ad ascidio è una trappola che vede la modifica delle foglie della pianta, le quali vanno ad unirsi ai margini arrotolandosi per formare un piccolo contenitore nel quale gli insetti entrano e per varie tecniche non riescono più ad uscire; restando lì intrappolati, vengono sottoposti all’azione digestiva dei secreti della pianta. Esistono quattro grandi gruppi di queste trappole ad ascidio, e li analizziamo. Le Heliamphora sono i più semplici esempi della trappola ad ascidio, in quanto le foglie sono ripiegate e saldate ai margini, producono un siero che attira gli insetti (insieme al colore tipicamente floreale) ma che anche ne impedisce la fuoriuscita; una volta bloccato, intervengono degli enzimi esclusivamente batterici che decomporranno l’insetto rilasciando poi quelle sostanze come l’azoto ed altre che la pianta utilizzerà per vivere. L’evoluzione ha creato anche un forellino “di scarico” nella parte terminale del recipiente che serve ad eliminare la pioggia ed i detriti inutili che inevitabilmente vanno a raccogliersi in questo contenitore naturale. La Sarracenia è un’evoluzione delle Heliamphora, perché presenta lo stesso meccanismo di cattura, con due migliorie: un condotto che va ad avvolgersi su sé stesso verso il basso e che quindi impedisce l’entrata di pioggia, ed una serie di enzimi digestivi non solo batterici che riescono ad assimilare molte più sostanze nutritive e molto più complesse rispetto ai digestivi batterici della progenitrice. Gli altri due tipi di questo raggruppamento prevedono uno un tappo che va a scattare all’entrata dell’insetto per chiudere ogni via di fuga, mentre l’altro vede un’evoluzione di ciò che succede per esempio in alcune Bromeliaceae, ovvero la formazione tra le foglie strette ad ananas di un piccolo laghetto in cui insetti e piccoli animali cadono accidentalmente ed in cui non c’è solo acqua piovono ma anche veleni immobilizzanti ed enzimi secreti dalla pianta.
La trappola adesiva è una trappola che vede la produzione di una mucillagine da parte della pianta, cioè di una sostanza gelatinosa e viscida che a seconda delle varie specie può incollare letteralmente le zampe dell’insetto alla pianta oppure può immobilizzarlo avvelenandolo e cominciando già a digerirlo. La regina di questo raggruppamento è la Drosera: essa si è vista dotare dai processi evolutivi di tentacoli mobili secernenti la suddetta “colla” i quali sentono l’arrivo ed il contatto con l’insetto e riescono con una certa rapidità a ripiegarsi per apportare altro materiale ed assicurarsi che non ci sia più via di scampo per lo sfortunato avventore.
La trappola a scatto è quel tipo di trappola delle piante carnivore che le ha rese così famose nel mondo, si tratta di un meccanismo non ancora ben chiarito dagli scienziati che vede la pianta rispondere al contatto di un insetto chiudendo le foglie opportunamente sagomate e formando una sacca impossibile da riaprire in cui avviene la digestione. Le due specie principi di questo raggruppamento sono la Dionaea e l’Aldrovanda. Entrambe vedono le loro foglie formate da due lobi simmetrici ed incernierati allo stelo, in apparenza totalmente normali tranne per le ciglia riposte ai lati. Appena un insetto va ad appoggiarsi su di esse, queste foglie si richiudono e più l’insetto si dibatte più loro si chiuderanno ermeticamente fino a sigillarsi e secernere potenti enzimi che in 7 – 15 giorni andranno digerire totalmente l’animale. C’è anche un incredibile meccanismo a tempo per prevenire l’accidentale chiusura per esempio per pioggia o per detriti in caduta che vede le foglie riaprirsi in poche ore se la stimolazione interna non si ripete per qualche minuto continuato (confrontabile con la resistenza strenua dell’insetto intrappolato).
La trappola ad aspirazione è una trappola che sfrutta la fuoriuscita forzata di acqua dalla sacca della pianta in modo da creare al suo interno un leggero vuoto; fuori la sacca ci sono dei peli che sentono l’arrivo di un insetto per contatto ed attivano l’apertura di una piccola bocca la quale quindi metterà in contatto la sacca in leggera sottopressione con l’ambiente esterno a pressione ambiente e ciò provoca un risucchio nella sacca di ciò che c’è nelle immediate vicinanze della bocca, ovvero dell’insetto.
La trappola a nassa vede la modifica di una foglia della pianta fino a somigliare ad una Y maiuscola; all’interno della Y ci sono però dei peli che appiccicano l’insetto che vi si poggia e lo spingono verso il centro della Y in cui vi è una piccola bocca che secerne gli enzimi digestivi e fa in modo di ricavare più nutrienti possibili.
Somministrare acqua demineralizzata ed in particolare senza calcio che uccide rapidamente la pianta; posizionare il vaso in luogo umido e soleggiato, possibilmente aperto; mettere la pianta in un terreno volutamente scadente per invogliare la cattura con trappola e non l’alimento delle piccole radici.
Il mondo delle piante carnivore affascina, incuriosisce, ammalia. Da sempre questa particolare tipologia di piante sono state oggetto di interesse per autori di libri, romanzi, riviste e film d’horror e d’avventura. Nei romanzi di parla infatti di piante dalla rara capacità di attaccare l’uomo, di imprigionarlo, di metterlo alla prova della sua forza o in pericolo di vita. In questi racconti, le piante carnivore sono tutte caratterizzate dal fatto di avere dimensioni spropositate e di essere addirittura più grandi dell’uomo. Tutte dicerie? Certamente si, ma queste curiose piante hanno davvero delle caratteristiche peculiari: potrebbero essere impiegate infatti come rimedi naturali efficace contro i piccoli insetti come moschini, api e zanzare spesso presenti durante il periodo estivo in abbondanza in tutte le nostre case e non solo.
La dionea muscipula è una delle carnivore più conosciute ed apprezzate da tutti gli amanti di questo genere di piante. Parte del suo successo e della sua fama sono molto probabilmente dovuti alle forme particolari di questa pianta che ricorda per certi versi una bocca spalancata grazie alla sua apertura ed alle spine che porta sull'estremità delle due foglie.
La pianta carnivora dionea muscipula è conosciuta anche con il nome di Venere acchiappamosche proprio per le caratteristiche particolari delle sue foglie. Le foglie modificate di questa pianta sono infatti dotate di cellule speciali che appena percepiscono la presenza di un insetto fanno scattare un meccanismo di chiusura a scatto per intrappolare piccole prede. Le foglie percepiscono la presenza degli insetti tramite la piccolissima pressione che questi esercitano sulla superficie fogliare.Una volta catturati gli insetti la pianta riesce ad assorbire le sostanze nutritive presenti al loro interno lasciando lo scheletro che fa cadere dopo aver riaperto le due foglie opposte.
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