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L’armillaria mellea è un fungo parassita che cresce sui tronchi di latifoglie e conifere. Compare in autunno e causa nelle piante una malattia chiamata “marciume radicale fibroso”. La pianta, infatti, nella parte radicale, viene attaccata dal micelio del fungo che causa il marciume della corteccia. Questa si stacca da sola mandando in necrosi le grosse radici degli alberi. Se non fermata in tempo, la malattia provoca quasi sempre la morte delle piante colpite. Il fungo vero e proprio, invece, si presenta con un cappello piatto e tondeggiante, simile a quello del chiodo, da cui deriva anche il nome comune “ chiodino del miele”. Il cappello, del diametro di dodici o quindici centimetri, presenta un colore simile a quello del miele, caratteristica che spiega non solo il nome comune ( chiodino del miele),ma anche quello scientifico. “Mellea”, infatti, deriva da “miele”. L’armillaria mellea presenta lamelle poco fitte, rosa o bianche e lievemente decorrenti sul gambo. Quest’ultimo è alto da cinque a dodici centimetri ed ha un diametro massimo di due centimetri. E’ cilindrico, di colore giallastro o bruno con dei solchi verticali sulla parte superiore all’anello, il quale, invece, si presenta di colore bianco, con delle striature che durano nel tempo. L’armillaria mellea presenta una carne bianca o color carne, soda nella parte del cappello e superiore al gambo, fibrosa nelle altre parti. Il suo odore è quasi nullo negli esemplari giovani, mentre è prettamente fungino in quelli adulti e simile all’aglio in quelli vecchi. Il sapore è agrodolce, con un lieve gusto amarognolo che si ritrova solo negli esemplari più vecchi. Le spore sono a ellisse, bianche e massive.
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La commestibilità dell’armillaria mellea è molto controversa. Il fungo contiene infatti tossine proteiche, le emolisine, in grado di causare gravi casi di avvelenamento e intossicazione. Queste sostanze vengono eliminate solo dopo aver cotto a fondo il fungo. La parte commestibile dell’armillaria mellea è il cappello; raramente, nei funghi giovani, si può cucinare anche il gambo. Le emolisine non resistono a temperature superiori ai 70 gradi. La cottura deve quindi avvenire a questa temperatura e per almeno quindici minuti. L’acqua di cottura, che tende a diventare nera, va sempre buttata. Dopo questa operazione, gli esemplari più sodi e di minori dimensioni si prestano anche a essere conservati sott’olio. Esistono casi di avvelenamento verificatesi anche dopo la cottura del fungo. Ciò dipende dal fatto che probabilmente sono stati raccolti esemplari a temperature molto basse o che sono stati cotti dopo essere stati congelati in frigo. Le emolisine, infatti, si rafforzano con le basse temperature. La cottura in questi casi è inutile e causa un maggiore passaggio e assorbimento delle tossine nella carne del fungo. Per rendere l’armillaria mellea commestibile è consigliabile non congelarla e raccoglierla solo con giornate dal clima mite. Gli esemplari più gustosi sono quelli che crescono sui tronchi di latifoglie. Meno pregiati quelli che si trovano sulle conifere.
L’armillaria mellea è un fungo che presenta numerose somiglianze con altre specie. Può essere infatti confuso con l’armillaria gallica, l’armillaria tabescens, la collybia fusibes, l’hypoloma fasciculare, il cortinacus speciosissimum e il pholiota squarrosa. L’armillaria gallica e la tabescens sono specie anch’esse velenose da crude; si distinguono dalla mellea perché la prima ha la parte alta del gambo di colore giallo e la seconda non presenta anello. La collybia fusibes non è commestibile e si presenta simile all’amillaria mellea, anche se è senza anello. L’hypoloma fasciculare è invece un fungo velenoso, con carne molto amara e spore grigie. Il cortinacus speciosissimum è invece una specie mortale. Si differenzia dall’amillaria mellea solo per le spore, che sono color ocra invece di bianche. La pholiota squarrosa è un fungo non commestibile che da giovane è simile all’armillaria mellea. Il nome armillaria deriva dal latino e significa “braccialetto” per via dell’anello, mentre “mellea”, come già detto, significa “miele”. Altri nomi comuni dell’armillaria mellea sono agarico del miele, famigliola buona e fungo della zocca.
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